Perché partecipare ai concorsi di progettazione?
I concorsi di progettazione non sono semplici competizioni. Sono momenti in cui l’architettura ritrova la sua dimensione più autentica: un laboratorio di idee, di confronto e di libertà creativa. Partecipare a un concorso significa aprirsi a temi complessi e collettivi, che vanno oltre la routine dello studio e invitano a ripensare il ruolo dell’architetto come interprete dei bisogni della comunità.
Come ricordava Alvar Aalto: “L’architettura è un’esperienza emotiva. È fatta per la gente. Per viverla, non solo per osservarla.” Un concorso è, in questo senso, un’esperienza che coinvolge mente, materia e società e la coinvolge per tutto il tempo in cui si pensa e sta scrivendo il progetto.
Ma come funziona? E perché è così importante per noi architetti partecipare a questi concorsi?
Partecipare a un concorso di progettazione significa, innanzitutto, tornare a studiare. È un’occasione rara, che porta l’architetto fuori dalle abitudini quotidiane e lo mette a confronto con temi che raramente emergono nel lavoro ordinario: scuole, piazze, chiese, spazi urbani complessi. Per affrontarli serve documentarsi, leggere riviste, aggiornarsi, dialogare con specialisti di altri settori. È un po’ come tornare studenti, con la libertà e la leggerezza di chi sperimenta senza filtri.
Ma è anche una sfida personale. A differenza di un incarico privato, qui il committente siamo noi: nessuno ci dice “questo sì” o “questo no”, ogni decisione è responsabilità del progettista e del suo team e questo comporta rigore, a volte incertezza, ma anche divertimento: buttare giù idee per un concorso è, infatti, uno dei momenti in cui l’architettura ritrova la sua dimensione più libera e creativa. Infine, il concorso obbliga a uscire dallo studio. Se per un progetto residenziale spesso basta confrontarsi con il cliente, per un concorso è necessario immergersi nel mondo: visitare i luoghi, parlare con pedagogisti, liturgisti, paesaggisti, sociologi. Così è stato per la scuola Niccolò Pisano a Marina di Pisa, dove ci siamo confrontati con insegnanti e pedagogisti per interpretare il senso di una scuola del futuro, capace di dialogare con la comunità e con la natura circostante. Capace di promuovere apertura in tutti i sensi e di abbracciare il territorio.
Un concorso è un vero e proprio laboratorio e, come ogni esperimento che si rispetti, ci sono vari passi da seguire per poter sperare che tutto vada a buon fine. Si parte dalla fase 0, quella di selezione del bando, e si procede con la fase di analisi e lettura dei materiali messi a disposizione dal concorso. Poi inizia la parte di studio vera e proprio, con l’analisi personale di contesto che porta a individuare un’idea guida.
Per la scuola N. Pisano quell’idea è emersa chiaramente: “La scuola sugli alberi che guarda il mare”. Una visione che nasce dal contesto unico, tra pineta e orizzonte marino, e che ha guidato l’intero sviluppo progettuale. Da lì, il lavoro si è articolato in fasi successive: condivisione con il team, scrittura del progetto e restituzione grafica dell'idea attraverso render, 3D e testo chiaro e comunicativo.
Segue l’attesa della prima selezione, l’eventuale passaggio in finale, e infine la fase di approfondimento con nuovi sondaggi e analisi (fasi con cui si parla con gli esperti di settori connessi all'ambito in cui si deve intervenire) fino alla consegna definitiva.
La cosa più importante è che non è solo con la vittoria che il concorso assume significato, poiché ogni step porta con sé una crescita professionale: il concorso non è solo un’occasione per vincere, ma un modo per arricchire il bagaglio dell’architetto, affinare lo sguardo e portare nello studio ciò che si è appreso durante il nuovo percorso di studio.
Ma qual è la cosa più importante? Sicuramente, più che in altri lavori, qui è l’idea che fa da protagonista. Deve essere chiara, forte, capace di convincere una giuria di esperti architetti e di parlare a una comunità intera. Non si tratta solo di proporre una soluzione funzionale, ma di immaginare un futuro possibile.
Nel progetto della scuola di Marina di Pisa, l’idea si è tradotta in spazi che respirano con la natura circostante: un “sottobosco didattico” al piano terra, dove la pineta entra nella scuola, e una torre che si innalza tra le chiome per offrire lo sguardo al mare. Simboli architettonici che incarnano concetti pedagogici: il legame con la natura, la socialità, la creatività, l’apertura al territorio.
Ovviamente il valore dell’idea non si ferma solo alla sua forza evocativa, ma anche nella sua capacità di trasformarsi in architettura concreta, flessibile e funzionale.
La prima regola è: chiarezza ed efficacia. Dal momento che non c’è la possibilità di raccontare a voce il progetto, tutto deve emergere dal documento consegnato ed è per questo che le scelte grafiche e di scrittura sono fondamentali. Le parole devono spiegare in maniera limpida e professionale, le immagini devono colpire e convincere. Render, schemi, tavole grafiche e relazioni sono gli strumenti con cui l’idea diventa tangibile e visualizzabile nella mente dei giurati.
Per la scuola Niccolò Pisano, la scrittura ha avuto il compito di trasmettere non solo le scelte tecniche, ma anche la visione educativa e sociale che stava alla base del progetto: una scuola aperta, inclusiva, connessa al quartiere e pensata come parte integrante della comunità.
No, un concorso non si conclude una volta scelto il vincitore. E non perché dopo inizia sempre una fase di lavoro ma perché, qualsiasi sia esito, chi partecipa ne esce arricchito. Dopo ogni esperienza si torna in studio con una consapevolezza nuova, con strumenti e riferimenti che si portano anche nei progetti privati e che ci aiutano a rinnovare le nostre posizioni e le nostre conoscenze.
Ma c’è di più: il concorso lascia una traccia valoriale. Progettare per una comunità significa sentirsi parte di un cambiamento positivo, contribuire alla qualità della vita di chi abiterà quei luoghi. Come sosteneva Renzo Piano: “Costruire è un atto di responsabilità collettiva.” e nei concorsi questa responsabilità è ancora più evidente, perché il cliente è la comunità. Perciò, nonostante la difficoltà e l’autocritica che accompagna ogni fase, questo tipo di lavori restano una delle esperienze più intense e formative per chi lavora ogni giorno in architettura.